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...e la barca tornò sola: Storia della canzone

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...e la barca tornò sola

1954, Fiorelli-Ruccione, Ed. Suvini Zerboni


Nel 1954, Bill Haley incide 'Rock around the clock', pietra miliare del rock and roll. In Italia, le cose vanno in un'altra direzione: a dominare la scena sono i cantanti melodici. Il bel canto all'italiana ha un reuccio: Claudio Villa, che sta lentamente ma inesorabilmente dando la propria scalata "alle più alte vette della popolarità" (ipse dixit).

Il festival di Sanremo, soltanto alla quarta edizione ma già appuntamento radiofonico di rilievo, ha invece finora proposto due regine: Nilla Pizzi e Carla Boni. La prima 'abdica', prendendosi un anno di pausa - secondo alcuni per ruggini sentimentali con il Maestro Angelini, secondo altri per non subire un nuovo smacco dalla Boni, della quale è tra l'altro rivale in amore. Oggetto delle attenzioni di entrambe è infatti Gino Latilla (che nel 1958 sposerà la Boni).
Ed è proprio Latilla la prima voce maschile a vincere a Sanremo, insieme a Giorgio Consolini. I due fanno breccia nel cuore della giuria intonando "Son tutte belle le mamme del mondo". Scrive Gigi Vesigna: "Latilla mentre esegue la canzone fa scivolare dagli occhi una lacrima e guarda in direzione della sua mamma, seduta in platea e commossa come tutte le donne presenti" (da "Sanremo è sempre Sanremo", Sperling & Kupfer). Al secondo posto si piazza 'Canzone da due soldi' cantata da Katyna Ranieri e Achille Togliani, che avrà un notevole successo.

A Sanremo '54 si presenta anche Totò, in veste di autore. La sua 'Con te', cantata da Togliani, giunge quarta - immediatamente alle spalle di '…E la barca tornò sola', anch'essa cantata da Latilla con la collaborazione di Franco Ricci - l'interprete partenopeo che si era aggiudicato il primo Festival di Napoli con 'Desiderio 'e sole' nel 1952.


Il mare crudele della canzone anni '50

"La penetrazione del rock fu lenta e carbonara, nel paese dei 'papaveri e papere', del 'mare crudele', dei 'cancelli fra le rose', delle mamme che sono 'la bellezza di un bene profondo/fatto di sogni, rinunce ed amor'. L'Italia canora è tenacemente avvinghiata alle lacrime, al 'vecchio scarpone', alle bianche colombe sullo sfondo di San Giusto e di Trieste nuovamente irredenta". (Guido Vergani, "Intramontabile caldo respiro del rock", da "La Repubblica", agosto 1986)

"La canzone all'italiana dei primi anni '50 rappresenta una restaurazione nella restaurazione. E' insopportabilmente retorica. Gronda, oltre ogni misura, di lacrime e di sangue. Ne è un esempio davvero tipico '…E la barca tornò sola' di Ruccione e Fiorelli'. (…) Intanto la sinèddoche ('legno' per 'barca') che conferisce un che di grave e misterioso a tutta la situazione - la donna è infatti per definizione misteriosa e infida. Poi quell''incognita' di incerta interpretazione: 'sconosciuta'? 'Ignara'? Un latinismo comunque che aggiunge altro pathos alla scena (e che ben si addice alla donna: chi più della donna 'ignaro', chi più di lei impenetrabile? Infine l'attributo di 'straniera', da decifrare liberamente: sia come estranea (all'uomo) sia più prosaicamente come turista. Ma sempre, nell'un caso e nell'altro, donna di malaffare: epiteto valido per la donna in generale e per antonomasia per la donna forestiera.

Chi dunque rischierà la vita per salvare una simile femmina, sì dai capelli d'oro ma per l'appunto infida, impenetrabile - e soprattutto puttana? Ma i tre uomini, naturalmente, che come tutti gli uomini sono buoni, bravi, coraggiosi ed altruisti. E affrontano impavidi la morte... La scena si ripete in tante altre canzoni: ad esempio, 'Il torrente', di Carli-Liman: ancora una volta l'acqua, ancora una volta la donna falsa, irriconoscente e ingrata che travolge e crudelmente inganna l'uomo ingenuo… La consegna è: strappare le lacrime". (Gianni Borgna, "La grande evasione", Savelli Editore)


Il festival di Latilla

Apparentemente, il maestro Mario Ruccione si aspettava di aggiudicarsi il primo premio. Le cronache narrano di come, dopo la proclamazione, sia rimasto fino all'alba seduto in una poltrona dell'albergo a lamentarsi dell'interpretazione della melodrammatica vicenda della 'mamma bianca' e della 'barca nera'… Ma probabilmente non fu lui a scrivere ben trecento cartoline anonime di minacce a Latilla, che fu il vero protagonista della kermesse di quell'anno.

Nato a Bari il 7 novembre 1924, Gino Latilla era figlio di un cantante (Mario Latilla); dopo aver fatto breccia nel cuore degli italoamericani con una serie di esibizioni oltreoceano (nel 1952 dedicherà a loro 'Un disco dall'Italia', finalista a Sanremo), nel 1953 divenne a pieno titolo uno dei "moschettieri" dell'orchestra Angelini, la cui regina, amata sia dal Maestro che da Latilla, era Nilla Pizzi. Nel Festival di quell'anno fece per la prima volta coppia con Giorgio Consolini, col quale presentò ben ben quattro canzoni (tra le quali 'Vecchio scarpone' e 'Tamburino del reggimento').
Fu il Festival del 1954 a consacrarlo divo della canzone: oltre a vincere la kermesse con 'Tutte le mamme' (tanto per cambiare, con Consolini), si piazzò al terzo posto con 'E la barca tornò sola'.

Sempre in quell'edizione propose 'Canzoni alla sbarra', 'Una bambina sei tu', 'Arriva il direttore', 'Piripicchio e piripicchia'. In totale, 6 canzoni: un'onnipresenza che si accompagnava a quella sulle pagine dei rotocalchi interessati alle contorte vicende sentimentali che si intrecciavano tra lui, Nilla Pizzi, Carla Boni e il Maestro Angelini. Forse per compensare tale ubiquità, nei due anni successivi al trionfo Latilla si tenne lontano da Sanremo - vi avrebbe fatto ritorno nel 1957, interpretando, tra le altre, 'Casetta in Canadà'. L'ultima partecipazione di rilievo fu con 'Amare un'altra', cantata con Nilla Pizzi nel 1958. Un titolo profetico, visto che proprio quell'anno il cantante barese avrebbe definitivamente preferito (sposandola) la Boni alla Pizzi. Il 1958 fu anche l'anno fatale del tramonto dei 'melodici' come lui, spazzati da Modugno e dagli 'urlatori'. Dopo un decennio di graduale ritiro, negli anni '70 Latilla diventò dirigente della Rai di Firenze.


Carosone: "E a me che me ne importa"

"Il dopoguerra era tempo di Sanremo e fazzoletti inzuppati di lacrime. Dentro di me vibrava un'altra musica, c'era l'America" (Renato Carosone)


Secondo Giancarlo Governi, che ha curato uno speciale tv dedicato al cantante napoletano, "Carosone era rimasto colpito dal tono funesto di 'E la barca tornò sola', e dalla storia che raccontava di una mamma nera, una barca bianca, una bionda forestiera. Qualcuno leggeva la canzone in chiave politica, qualcuno in chiave psicanalitica...". Dario Salvatori aggiunge: "Carosone ha ricordato di aver cominciato a provare il brano con poca convinzione e che, solo dopo aver ripetuto due o tre volte il ritornello nefasto, il fido Gegè stremato esplose in uno spontaneo quanto geniale: 'E a me che me ne importa?' (da "Dizionario delle Canzoni Italiane, elleu multimedia).

Pochi mesi dopo il Festival in cui 'E la barca tornò sola' si era piazzata terza, Renato Carosone si rivolse al pubblico televisivo con un sorriso da monello che sta per combinarla grossa. "Voi questa canzone l'avete ascoltata tante volte. Ma non l'avete mai ascoltata come l'ho immaginata io... Ecco: Gegè farà la mamma…". ("Farò la mamma come non l'avete mai vista", dice Di Giacomo, sistemandosi scialle e parrucca) ".…e Piero Giorgetti farà il mare crudele…coi gargarismi" (Giorgetti mostra sorridendo un bicchiere pieno d'acqua).

E fu così che la tragedia marittima partorita da Ruccione si trasformò in irresistibile parodia, con Gegè il batterista a ribattere ad ogni strofa del melodrammatico testo originale intonato da Giorgetti il celeberrimo, strafottente 'E a me che me ne importa' - che oltretutto contribuiva a "muovere" il brano su un nuovo, contagioso ritmo di beguine. La prima metà della pantomima lasciò i telespettatori semplicemente esterrefatti. Ulteriore incredulità di fronte al ritornello 'Mare crudele', cantato con vocette alla Donald Duck (un tipico espediente di Carosone, ottenuto variando la velocità del nastro registrato). Il colpo di grazia furono i melodiosi gargarismi di Giorgetti: moltissimi si indignarono di fronte a chi stava mettendo in burletta Sanremo e le sue canzoni così commoventi. Ma per parecchi fu una liberazione: si poteva ridere di Sanremo, e di canzoni tanto tragiche da risultare tragicomiche.


Gli autori

Mario Ruccione ha firmato le più appassionate apologie canore del fascismo ("Faccetta nera", "Canzone dei sommergibili", "La sagra di Giarabub"). Ciononostante, nel dopoguerra è riuscito a rimanere in auge come autore. Claudio Villa (il quale, particolare curioso, era di tutt'altro orientamento politico), gli permise di vincere Sanremo con due brani firmati insieme all'autore di "Simme e' napule paisà", Giuseppe Fiorelli: "Buongiorno tristezza" (1955) e "Corde della mia chitarra" (1957). Interessante notare come alle gagliarde marcette scritte durante il Ventennio, Ruccione fece seguire brani piuttosto strazianti, tanto da guadagnarsi una frecciata da Renato Carosone, che ascoltata la melodrammatica "E la barca tornò sola" (Ruccione-Fiorelli, 1954) la fece sua aggiungendo uno strafottente "E a me che me ne importa?" al termine di ogni strofa.


Interpreti

Gino Latilla: nato a Bari il 7 novembre 1924. Dopo aver fatto breccia nel cuore degli italoamericani con una serie di esibizioni oltreoceano nel 1953 divenne a pieno titolo uno dei "moschettieri" dell'orchestra Angelini, la cui regina, amata sia dal Maestro che da Latilla, era Nilla Pizzi. Nel Festival di quell'anno fece per la prima volta coppia con Giorgio Consolini, col quale presentò ben ben quattro canzoni (tra le quali 'Vecchio scarpone' e 'Tamburino del reggimento').Dopo un decennio di graduale ritiro, negli anni '70 Latilla diventò dirigente della Rai di Firenze. Tra i suoi maggiori successi: 'Tutte le mamme', 'E la barca tornò sola','Canzoni alla sbarra', 'Casetta in Canadà', 'Amare un'altra'.

Altri interpreti:
Franco Ricci
Renato Carosone
Pietro Giorgetti
Duo Fasano


Fonte: Link

1 COMENTARIOS:

Oliver Conte dijo...

Un aneddoto racconta che un giorno Mario Ruccione incontrò Renato Carosone, e si diresse con fare risoluto verso di lui. Carosone pensò: "Adesso questo mi mena per lo scempio che ho fatto della sua canzone", e invece Ruccione lo abbracciò calorosamente. Infatti il successo della versione parodistica della versione di Carosone, ben superiore a quello della versione originale, gli aveva fruttato lauti diritti d'autore.

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